HAFJELL MTB WORLD CHAMPS 2014: vincono Carpenter e Atherton
Mentre il trio WeekendWheels era a Sauze D’Oulx per l’ultima Superenduro Pro 2014, più o meno a metà strada tra Italia e Polo Nord si è consumato un mondiale di mountain bike veramente ansiogeno.
Si è consumato ad una velocità folle con una partenza a razzo il sabato del XC con un bronzo, per certi versi inaspettato, vinto da Marco Aurelio Fontana (Cannondale) che tiene alti i colori italiani. Congratulazioni!
Dopo questa intro patriottica, passiamo alla parte gravity della questione. Nella discesa tutta l’attenzione è sulla gara degli uomini elite, con almeno una decina di rider eletti come possibili vincitori. Anche negli Junior, anche se con un numero decisamente ridotto di Jolly da giocarsi, la gara è piuttosto aperta.
E qui mi vengono in mente le parole di Tomaso Ancillotti a proposito della mentalità francese sulle piste da BMX e sulla downhill in generale. Effettivamente, con la vittoria di Loris Vergier (Lapierre Gravity Republic), che bissa ad Hafjell la coppa del mondo appena conquistata a Meribel, la Francia bissa la produzione di giovani fenomeni negli ultimi 2 o tre anni. Infatti, con Vergier e il suo compagno di squadra Loic Bruni (ex campione del mondo junior anche lui, guarda caso), affiancati da una wild card come può essere Remi Thirion (Commencal Riding Addiction), i cugini d’oltralpe hanno un terzetto da podio per almeno i prossimi 10 anni, un terzetto che può trainare il movimento…
Lato italico, la gara degli Junior vede Loris Revelli (Argentina Bike Devinci) prendersi un ottimo ottavo posto. L’ennesimo ‘prodotto’ del vivaio Argentina Bike è un rider che in questo momento rappresenta il futuro alla nostra downhill, quantomeno il seguito in ambito internazionale. Dajene!
Nelle donne Junior la competizione è ridotta a 4 ragazze: 2 francesi, una tedesca e un’australiana. Il viaggio dall’altra parte del mondo vale la candela, visto che Teegan Molloy si porta a casa la maglia iridata. Rider di un paese che sulla downhill ci punta.
Che la Gran Bretagna sia la nazione dominante, o giù di lì, della downhill lo dimostra il podio femminile. Untempo erano Tracey Moseley (Trek) e Rachel Atherton (GT Factory) le portacolori. Ora con la Moseley nell’enduro, è la Atherton a fare, a 27 anni (!!) da chioccia a Manon Carpenter (Madison Saracen) e Tahnee Seagraves (FMD).
La prima di queste due, alla sua terza stagione da Elite ha dominato e vinto tutto quello che c’era da vincere, coppa del mondo e mondiale. La seconda, alla sua prima stagione da Elite dimostra come il movimento britannico, che trova spazio anche sulla BBC (la RAI britannica), vinceva 10 anni fa (o comunque, se la giocava alla grande), ha vinto negli ultimi 10 anni e probabilmente continuerà a farlo nei prossimi 10.
Veniamo adesso alla gara che spesso si riempie di leggende e miti, quella degli uomini elite. Iniziamo dagli italiani in gara, tre. Carlo Caire (Argentina Bike Yeti), 53esimo, e Gianluca Vernassa (Devinci), 50esimo timbrano il cartellino, anche se forse qualche posizione in più potevano portarla a casa. Hanno 20 e 19 anni, hanno dimostrato che di colpi in canna ne hanno, per cui credo che possano crescere ancora nei prossimi anni.
Il rider nostrano che mi continua a stupire è Johannes Von Klebelsberg (ASC Tyroler) che, alla sua terza gara mondiale, centra la seconda top 30 (con un 29esimo finale e hot seat conquistata dopo la run) con la sua Ancillotti. Quest’anno ha vinto maglia tricolore e, a Bormio il prossimo weekend, potrebbe fare il bis con la vittoria del circuito Gravitalia. Questa è stata la sua stagione, come, fino all’IXS di Val di Sole è stata la stagione di Simone Medici (Pedroni Bikes) e, fino a luglio quella di Lorenzo Suding (Team Norco International). Mi sarebbe davvero piaciuto vedere questi due ad Hafjell, insieme ad un paio di altri rider, ma speriamo sia per un’altra volta.
Metto ora il cappello del fan boy che si è visto il mondiale in streaming sul telefonino mentre riprendeva e fotografava l’arrivo dell’ultima speciale di Sauze. Come dicevo, c’erano almeno una decina di rider candidati alla maglia tricolore, tutti inquadrabili grosso modo nei numeri di pettorale dal 15 in giù.
Certo, poi ci sono state almeno un paio di wild card, in primis Remi Thirion, a cui le piste decisamente ruvide come quella di Hafjell han sempre detto bene. Non vi nascondo, in un’esplosione di fanatismo sfrenato, che ho anche creduto in almeno un podio di Steve Peat (Santacruz Syndicate), al suo 22esimo mondiale (magari sarà l’ultimo? chissà). Ma penso che questo sia balenato nella testa di un po’ tutti gli appassionati.
Poteva esserci Mick Hannah (Polygon UR) ma rientrava da un infortunio (a Meribel c’era ma non si è qualificato) e poi si è autoeliminato cadendo. Si sono autoeliminati anche un sacco di altri rider da porio/iride: Danny Hart (Giant Factory Off Road), Greg Minnaar (Santacruz Syndicate) che non riesce a fare tris. D’altronde è una gara da un colpo solo, e bisogna fare centro.
L’autoeliminazione che ha fatto più rumore, nel senso del boato che ho sentito arrivare dal piazzale di Sauze dove in molti si sono radunati intorno agli schermi Red Bull, ma immagino che ce ne sia stato uno uguale in tutto il mondo, è stata quella di Sam Hill (Chainreaction Cycle Nukeproof). Ormai è su tutti i siti e social network la sua mossa dello scorpione sul rock garden. Peccato, davvero, per il suo split 2 è e rimane il migliore della giornata. #shithappens!
La run di Aaron Gwin (Specialized) è piuttosto anonima. Quando si arriva ai mondiali il rider americano si trasforma: da macchina da vittoria a ‘normale’ rider da top 15, infatti chiude 14esimo.
Poteva essere la tanto osannata consacrazione di Loic Bruni (Lapierre Gravity Republic), ma non accade e il francese chiude ottavo, subito dietro al compagno di squadra Sam Blenkinsop. Davanti a loro un altro francese, Remi Thirion, che si gioca la wild card, scende, si piazza sulla hot seat per circa un paio di discese, fino a che non arriva Brook MacDonald (Trek World Racing). Il bulldog neozelandese sta piano piano tornando.
Ma è un altro americano e un altro rider del TWR che sembra poter andare a medaglia. Neko Mulally rompe la catena e nonostante questo arriva sulla Hot Seat. Questa dura fino a che non tocca a Gee Atherton (GT Factory) che piazza una runa delle sue e si siede sul cubo più in alto.
Troy Brosnan (Specialized) avrebbe potuto dire la sua e tornare dai canguri con una medaglia più pregiata, ma si accomoda dietro ad Atherton.
Last man on track è il mattatore della stagione, Josh Bryceland, il più giovane del trio Santacruz Syndicate e quello destinato a raccoglierne l’eredità. D’altronde tra Peat e Minnaar, tra palmares e leggendarietà dei nomi, Rat Boy è stato ‘educato’ proprio per questo negli ultimi 8/9 anni. Storie di campionismo, come direbbe Carletto Germanetto.
La sua discesa è in pratica come tutte quelle di questa stagione: talmente molleggiata che sembra lentissimo. E invece stava staccando un tempone da medaglia d’oro, ma sull’ultimo salto, un table in legno, va lungo lunghissimo, atterra sul piatto, perde il piede sinistro dal pedale, piede che in sostanza si frantuma e non gli permette di chiudere la run pedalando a tutta. Se fosse riuscito a dare un colpo, un colpo soltanto, forse avrebbe reso il tutto ancora più eroico e, ovviamente, leggendario.
Nella sua goproata della runa finale, si capisce subito che l’arrivo è davvero doloroso. Peat e Minnaar lo tirano su di peso.
Invece non da un colpo di pedale, stringe i denti perchè credo proprio si sia fatto un male cane, lascia andare la bici fino al traguardo e passa con ben 0,407 secondi di ritardo da Gee Atherton. Si becca quindi la medaglia d’argento e un finale di stagione da trauma più che da dramma. Peccato.
Devo dirvi che, dopo questa stagione e averlo conosciuto a Meribel non saprei se la definizione che gli calza di più è cavallo di razza, ma pazzo o cavallo pazzo, ma di razza. In bocca al lupo per il recupero!
In tutto questo ci siamo dimenticati, come le migliaia di persone ad Hafjell e collegate su Red Bull TV, che Gee Atherton ha vinto il suo secondo mondiale Elite. Il primo ben 6 anni fa, nel 2008 a Val di Sole. Anche in quel caso Sam Hill cadde e, su questo fatto, già girano i meme del tipo ‘Se Hill cade al mondiale, vince Gee’
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Sarà, ma sto ragazzo è stato uno dei primi a passare dallo status di rider di downhill ad atleta di downhill, impostando il lavoro, serio, che è necessario per arrivare ai livelli di tutti questi nomi menzionati. Dedicandosi, di tanto in tanto, al Red Bull Rampage, vincendolo e triando dei transfer da paura. Chapeau!
E’ appena finita la downhill mondiale che già mi manca.