Made in Italy: Un giro con Tomaso Ancillotti

Quando si pensa alla downhill made in Italy, Ancillotti è il marchio che viene subito in mente, soprattutto a quelli che girano attorno alle gare da tempo ma non solo. Proprio sulle gare, quelle di downhill in particolare, è massiccia la presenza di modelli Ancillotti, un marchio che dalle moto, purtroppo, abbandonate a metà anni ’80 a causa dell’arrivo in forze sul mercato italiano dei colossi giapponesi, è passato alle mountain bike a inizio anni ’90.

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(ri)Partito dalle mani di Alberto e messo subito sul tracciato da suo figlio Tomaso, a distanza di vent’anni, il marchio toscano ha visto molti dei più forti rider italiani, e non solo, indossare i propri colori. Con rider come Giovanna Bonazzi, Fionn Griffits, David Vasquez, Jean Pier Bruni, Claudio Cozzi, Alan Beggin, Carlo Gambirasio, Marco Milivinti, Marco Bugnone, Jo Smith, Matt Simmonds, Rich Thomas, Brook Mc Donald, Wyn Masters, George Brannigan, Ancillotti ha vinto vinto due titoli mondiali uno agli esordi nel 1993 e l’altro nel 2009 e, negli ultimi due anni, ha tirato fuori l’ennesima evoluzione (vincente) del proprio mezzo da downhill e una enduro davvero interessante, che sta trovando spazio su tutti i magazine di settore più importanti.

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Prima del weekend dell’italiano di Champoluc, ho fatto il punto su questo e anche su altro con Tomaso in una mezza giornata a Pila, girando sulla sua FRY, l’enduro da 180mm di escursione posteriore che non bobba quando la pedali a tutta!

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Partiamo dalla fine, quale è il piano di Ancillotti?
Piano? Non siamo un’azienda che si basa sui numeri ma sulla qualità, l’efficienza e la durata del nostro prodotto. Questo è il nostro motivo conduttore e la particolarità inconfondibile per il quale siamo ancora vivi e vegeti a differenza di tanti altri. E restiamo soprattutto competitivi, in un mondo altrimenti dominato dai grandi numeri taiwanesi. Quindi impegno diretto, e non delegato, nelle competizioni e continua evoluzione di un progetto di base già ai suoi tempi del tutto azzeccato nei suoi parametri essenziali ed anticipatore di quella che sarebbe stata la full del futuro.

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Dalle moto alle bici, come è avvenuto il passaggio?
Nel 91/92 mio padre si avvicinò alle gare di discesa, io premevo per averne una tutta mia e a fu li che nacque la prima Ancillotti. All’epoca in tanti dicevano che per fare discesa bastava un telaio front con una forcella ad elastomeri da 40mm o poco più. Noi invece siamo partiti subito con grandi (per l’epoca) escursioni un vero ammortizzatore a molla e olio, un vero sistema ammortizzante assistito da leveraggi, il Pull Shock, di cui mio padre aveva brevettato la tipologia “Pull” per le moto, e poi angoli di sterzo e punti di infulcro del forcellone del tutto attuali oggi. E’ stata l’esperienza delle moto che ci ha dato una marcia in più rispetto a chi veniva dal poco evoluto mondo delle bici. E fu subito mondiale con la Bonazzi nel 93.

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Ma con le moto come è andata?
Mio padre le ha abbandonate a metà anni 80 per poi lavorare come geologo. Ha smesso a causa della competizione giapponese. Questi venivano, copiavano, capivano i tuoi errori e le facevano meglio! Non come adesso, con i cinesi che vengono, copiano e te li rifanno spesso peggio!

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Il modello che ho provato in questa giornata valdostana con Tomaso è il suo Ancillotti FRY, il telaio da enduro con ruote da 27,5 pollici. Le prime due cose su cui cade l’occhio sono la linea, decisamente differente rispetto a quello che il mercato offre e squisitamente Ancillotti, e l’ammortizzatore a molla. Con quest’ultimo, in piena bagarre tra marchi e rider per avere il mezzo più leggero, leggasi ‘aria’, il peso delle bici è 13kg.

Nel mondo della mountain bike, forse l’apice del successo della vostra storia fin qui è stato nel 2009, con il mondiale australiano, non se ne vedono tutti i giorni di storie simili…
Nel 2008 avevamo concluso con un ottimo 15esimo posto di Marco Milivinti al Mondiale e avevamo anche Marco Bugnone in squadra. Con Bugnone ho sempre avuto un ottimo rapporto, quasi fraterno. Poi per una cosa o per l’altra, alla fine di quell’anno ci hanno lasciati entrambi. Non nascondo che tra me e il mio babbo fu un periodo paragonabile a quello di un lutto in famiglia, davvero un momento cupo.
Abbiamo pensato allora di cercare qualche rider straniero. In pratica, tramite un forum neozelandese sono rientrato in contatto con Wyn, che avevo già conosciuto durante la stagione precedente e con il quale avevamo fatto una mezza chiacchierata. Chiesi alla Doganaccia del supporto per ospitarlo da loro e ci diedero una mano.
Sempre tramite lo stesso forum mi è stato proposto anche Brook. Lo avevo visto l’anno prima, alla sua prima stagione da junior, in un passaggio a tuono nella tappa di Vallnord. MI era rimasto impresso e, sai come vanno queste cose, quando uno ti rimane impresso inizi a guardare ai tempi e alle prestazioni, ne prendi nota insomma. Quando mi hanno detto che era libero, non c’ho pensato due volte.

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…e così è arrivato un mondiale.
Già, su una bici che molti definivano allora poco pedalabile (forse perché non ne avevano mai provata una!), abbiamo vinto su una pista da pedalare a tutta! Ma quella pista non era da endurina, come molti poi ci hanno corso, era una pista da bici da discesa tirata al massimo. E infatti sulla bici di Brook avevamo fatto così: lavorato per alleggerire il necessario, messi componenti più leggeri… il resto poi è storia!

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I componenti che monta Tomaso sono quelli tipici del team Ancillotti, manubrio e attacco manubrio Renthal, freni Formula R1 Racing, reggisella telescopico KS Lev, gomme Maxxis High Roller 2 (nella configurazione più discesistica della FRY). All’anteriore non può mancare un mozzo Ancilotti, fatto con una campanatura più larga per irrigidire la ruota. Per il resto buona parte della configurazione che potete vedere anche sul sito Ancillotti.

E’ durato poco purtroppo.
E sì, non eravamo e non siamo un marchio con grandi budget, per cui lasciammo andare, a malincuore, Wyn e Brook, ma prendemmo un altro kiwi, George Brannigan. Lo avevamo notato e poi era amico di Brook. Fu per certi versi un colpo di fortuna perché si autocandidò lui stesso. Brook gli aveva parlato bene di noi, era ancora uno junior e voleva farsi anche lui una esperienza europea e non solo. Quella stagione, la 2010, aveva delle grandi potenzialità, avremmo potuto vincere la coppa del mondo junior davanti ad un certo Troy Brosnan, ma purtroppo con un paio di cadute di George abbiamo dovuto accontentarci di un 2° posto ed un 4° al mondiale, anche se se la giocava sempre con Brosnan.

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Avete lasciato la coppa del mondo nel 2010, non vi manca?
Sono state due stagioni davvero massacranti. In pratica in quei due anno io non sono mai salito su una bicicletta. Brook, Wyn e George volevano solo girare e girare, come è giusto che fosse d’altronde, ma questo voleva dire che dovevo occuparmi full time di loro, lasciando da parte ogni attività di produzione sviluppo delle bici. Il mio babbo non va sulle bici da discesa, per cui lo sviluppatore sono direttamente io.
Un’altra cosa che mi mancava era il contatto con la gente, con i clienti. Anche alle gare italiane ero sempre concentrato sui kiwi, per cui era difficile gestire tutto. Alla fine ci siamo detti basta e abbiamo preso una strada più locale.

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Una curiosità: ma tua papà Alberto è mai salito su una delle sue bici da downhill?
Mai. Oddio magari qualche curva sulla strada sotto casa l’ha fatta, ma giusto per provare che funzionasse tutto. Lui è rimasto un motociclista, in bici non ci va mai, tolto quando va in vacanza in Maremma, e allora magari si porta dietro una bici per pedalare un pochino con mia mamma.

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I vostri modelli più conosciuti oggi sono DHY e FRY, che sono un po’ l’evoluzione delle furono DHP e FRP, da cui si differenziano per un unico tubo superiore invece di due affiancati. Soluzione estetica o pratica?
Beh, anche all’inizio sulla bici da discesa il tubo era uno solo, poi sono diventati due perché il Pull Shock aveva bisogno di spazio. Alla fine sempre basandoci sulla prova sul campo, siamo arrivati al “due in uno” uno per avere una rigidità più uniforme nella zona dello sterzo. Raffinatezze ma importanti, fin dai tempi delle moto, mio padre è sempre stato un antesignano nella ricerca della giusta rigidità, talmente importante nella guida “race” che è diventato oggi il motivo conduttore anche nella Moto GP, quasi più del motore.
Il tubo superiore è un tubo conificato per avere un maggiore spessore nella zona più sollecitata che viene pressato nella parte posteriore e sulla quale vengono poi appoggiati e saldati i due tubi che concludono il triangolo anteriore sul fulcro del forcellone.

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L’ammo, nella versione enduro, ha il blocco per le fasi di pedalata. Nessun click, si gira tutta la levetta: tutto a destra o tutto a sinistra, in sostanza infinite regolazioni. Un’altra regolazione è quella delle alte velocità, per tutto il resto basta cambiare la bielletta del leveraggio. Di solito sui telai Ancillotti ne è prevista una media, poi, a seconda del rider con quella +2/-2 (millimetri rispetto alla lunghezza della bielletta media) si indurisce o si ammorbidisce il lavoro dell’ammo. Anche per la geometria si può scegliere fra varie lunghezze del tirante del Pull Shock, determinano differenti altezze del posteriore e angolo di sterzo, sul modello FRY invece il tirante ha 2 boccole eccentriche molto pratiche.

A Pogno, durante la 360 Enduro, mi hai raccontato che siete passati alle 27,5 perché, secondo voi, anche se molti dicono che sia una trovata marketing, alla fine vanno tanto meglio sotto molti aspetti. Nel rifare le bici con la nuova misura di ruote, come è andata?
All’inizio abbiamo provato tutte le possibilità 26/29/27,5 e combinazioni poi abbiamo scelto la migliore dal punto di vista dell’effetto giroscopico, che ci è apparsa subito la 27,5. Abbiamo lavorato a lungo in officina e sul campo, per accordare le geometrie al nuovo diametro e alla fine abbiamo trovato il giusto mezzo.

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E con l’esplosione dell’enduro avete tirato fuori un gioiello come l’FRY.
Si, anche se all’inizio non è stato semplicissimo. La base di partenza è sempre e comunque il Pull Shock, il nostro marchio di fabbrica che sulle bici da downhill è un sistema che funziona direi in maniera proverbiale. Su una bici da pedalare entrano in gioco altre esigenze. L’FRY è l’evoluzione dell’FRP una bici da freeride con 180mm di escursione. Nel modificarlo, giocando con i leveraggi e i punti di infulcro abbiamo raggiunto un ottimo risultato: si pedala davvero bene con il blocco va via come una rigida ma, anche con l’ammo aperto non bobba, e in discesa viaggia al pari di una DH. Rispetto alla DHY di cui ricalca la struttura, con la conoscenza storica di un progetto ultracollaudato abbiamo potuto alleggerire dove serviva e, per essere una bici tutta in alluminio e con ammo a molla, otteniamo nel complesso 13kg di peso.

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Come prosegue lo sviluppo dei vostri telai, tra migliorie e novità?
Con DHY e FRY abbiamo davvero raggiunto due livelli molto soddisfacenti. Ora si tratta di limare quelle eventuali parti di materiale in più qua e là, trovando punti da alleggerire o da modificare. Valutiamo empiricamente e dai dati che ci vengono dal campo, di volta in volta quello che ci viene in mente possa essere cambiato, ci mettiamo, facciamo le nostre prove e se funziona ok.
Siamo anche in fase di sviluppo della nuova Scarab (la piccolina della gamma Ancillotti per escursione) portandola da 145mm di escursione della vecchia versione da 26 pollici ad una versione da 160mm per ruote da 27,5.

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Il tuo giudizio sulla downhill italiana.
Credo che per tirare fuori il campione e per alzare il livello occorra prima di tutto creare il numero, poi si può lavorare sulla qualità. Adesso in Italia ci mancano un po’ di giovani. Ce ne sono, ma non sono tantissimi. Manca forse un po’ di cultura e di voglia. Pensando alla Francia, mi ricordo quando Loic Bruni e Loris Vergier, prima che corressero in coppa, venivano a girare a San Romolo. Mamma mia come scendevano.
Se vai a vedere una gara di discesa in Francia, su 200 sono in 100 che vanno forte, veramente forte. Forse da noi arriveresti a 30. E questo perché da loro hai una pista da BMX in ogni paese o paesino. Piste aperte, libere, senza vicinato rompiscatole.
Mi ricordo anche qualche anno fa a Roc d’Azur dove c’era la pista da BMX. Dentro bambini a girare, saltare, schiantarsi, un continuo. I genitori manco si sapeva dove fossero, una cosa impressionante come questi bambinetti giravano. Poi ci si spiega perché in coppa, o in altro, come nell’enduro di adesso, viaggiano.
Da noi, dopo il picco con le vittorie internazionali di Herin e compagnia, è mancato un po’ d’appeal. Ci sono stati, e ci sono, rider molto forti ma mancano per ora i risultati e manca l’apprezzamento del pubblico, che adesso è in pratica di soli addetti ai lavori.
A Fort William arrivano pullman pieni di gente che paga per andare a vedere la gara di coppa del mondo in un posto lontano, pieno di zanzare e in mezzo al fango, e per loro è una festa. Da noi quanti penserebbero di pagare?

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Quindi quale è il mercato di Ancillotti?
Per certi versi le nostre bici sono ancora un prodotto da appassionato e, ad oggi, tra appassionati e gare abbiamo ancora un bel po’ di domanda, tant’è che abbiamo più richieste di quelle che riusciamo ad evadere, per fortuna. C’è un sacco di gente che ci chiede ed è interessata, anche gente di primo pelo del mondo downhill o gravity in generale. A tutti questi mi piace far provare le nostre bici perché credo che occorra provar con mano per capire.
Sai, magari le Ancillotti vengono interpretate a volte con una idea diversa ma basta testarle, e noi siamo sempre a disposizione per questo, perché quando le provano tornano col sorriso sulla bocca, sono tutti contenti di come funzionano, come girano, di come si guidano e del buon feeling immediato che trasmettono. E questa per me è una figata!

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Il carro Pull Shock del FRY prevede 180mm di escursione, una chiara impronta discesistica al mezzo da enduro. Nonostante questo, nei rilanci pedalati il carro è in pratica fermo, tiene i colpi di pedale e prende velocità che è un piacere. Anche se di suo non bobba in pedalata, Tomaso sta studiano una soluzione per aggiungere un controllo remoto del bloccaggio in modo rendere il mezzo gara ancora più aggressivo e funzionale.

Ultima domanda: si vedono tanti diversi tentativi di nuovi sistemi di ammortizzazione nella mountain bike, alcuni vengono lanciati in pompa magna ma abbandonati dopo una stagione. Secondo te a che punto siamo nel disegno delle mountain bike biammortizzate?
I diversi (e troppi) sistemi nascono più per una esigenza del settore commerciale (ricerca di originalità, ecc) piuttosto che da una vera esigenza e ricerca tecnica. Sul campo, poi, non tutti hanno avuto la nostra “fortuna” ovvero di avere il proprio sistema che soprattutto funziona. Del resto, se è quello imperante in tutti i settori delle moto, ci sarà un motivo?

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Tolto il discorso sulla taglia, una M mentre io sono sulla L, che ogni tanto mi portava over the bar, il giro su questa Ancillotti mi ha stupito per la maneggevolezza e per il comportamento del carro in discesa ma anche sul pedalato. Ottimo anche l’angolo sella, finalmente una posizione sui pedali bella centrata e comoda.

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